LA CULTURA SI FA NELLA PIAZZA

di Tommaso Sacchi
Assessore alla Cultura di Milano

Quando, nel 2021, il Sindaco Sala mi ha affidato il ruolo di Assessore alla cultura del Comune di Milano, ho trovato una città alle prese con il tentativo di uscire dalla crisi più grave che le persone della mia generazione hanno vissuto sino ad ora, quella della pandemia da Covid-19. L’ascesa apparentemente inarrestabile che aveva fatto seguito a Expo 2015 ha subìto un contraccolpo, che ha imposto a tutti una pausa di riflessione e la necessità di ripensare lo spazio entro il quale trascorriamo, giorno dopo giorno, le nostre vite. Anche la cultura si trova davanti a questo bivio: da una parte, la voglia di passare su quanto accaduto un colpo di spugna (musei, eventi, fiere sono stati infatti nuovamente frequentati in massa, non appena le restrizioni sanitarie hanno allentato la loro presa); dall’altra e la volontà di immaginare una città diversa. Non ci sono risposte univoche, ma solo riflessioni aperte a possibili scenari.
In seguito a una call pubblica lanciata subito dopo la fase più acuta della crisi pandemica, l’Amministrazione comunale ha elaborato un documento (Milano 2020, strategia di adattamento) che sintetizza i desiderata delle cittadine e dei cittadini su nuove possibili modalità di vivere lo spazio e il tempo di Milano. Tra le varie voci emerse, che chiedono a gran voce un cambio di passo in merito a mobilità, ecologia, conciliazione tra tempo privato e tempo lavorativo, compare un tema trasversale: quello dello spazio pubblico.
Cosa si intende per “spazio pubblico”? La domanda è di quelle su cui da sempre si arrovellano sociologi, architetti, urbanisti, e le risposte sono molteplici. Senza volerci addentrare in un tema così complesso, possiamo però dire che una cosa è certa: lo spazio pubblico può e deve essere una risorsa per produrre e fruire cultura, un luogo in cui tutte e tutti possano incontrarsi, riconoscersi e godere di contenuti culturali liberi e gratuiti. In una formula, la città come bene comune.  
Milano ha un sistema di musei cittadini in grado di fornire una proposta culturale ricca e diversificata, dall’archeologia al contemporaneo, che si articola anche in un sistema di mostre ed eventi. Ma la chiusura temporanea di questa macchina produttiva ci ha fatto riflettere su quanto la città nel suo insieme sia innervata di presenze artistiche, che erano lì da sempre. Devo riconoscere a chi mi ha preceduto il merito di aver dotato l’Amministrazione di un organismo espressamente dedicato a questo tema complesso e multiforme, l’ufficio Arte negli Spazi pubblici, istituito proprio nel cruciale anno 2020. 
Un’idea significativa – che ho sposato in pieno –, necessaria per mappare l’esistente e insieme progettare il nuovo, che mette Milano al passo delle più avanzate esperienze europee e non solo. Anche quella di “arte pubblica” è definizione complessa e diversificata, sulla quale sono cresciuti nei decenni puntualizzazioni, prese di posizione e anche, occorre dirlo, tanti travisamenti. 

È però importante che si cominci a comprenderne la centralità, anche in una città come Milano, che è stata spesso raccontata come la capitale dei tesori nascosti: anonima e grigia all’esterno, la città si sarebbe rivelata ricca di sorprese nei suoi spazi privati, cortili, palazzi, ville visitabili solo in alcune occasioni, meritoriamente organizzate e messe a disposizione di una cittadinanza curiosa e vivace. È oggi il momento di ribaltare questa narrazione univoca dello spazio urbano. Possiamo farlo iniziando dalla cospicua presenza di monumenti ottocenteschi e di primo Novecento, e dalle tante sculture che sono state erette dall’Amministrazione oppure le sono state donate (e continuano ad esserlo) da parte di artisti, associazioni, privati cittadini. 
Oggi la parola “monumento” è spesso messa sotto il fuoco di fila di una critica feroce, sovente giustificata, perlomeno in contesti (quello statunitense o degli ex imperi coloniali in particolare) dove collocare una scultura in una piazza pubblica significava affermare un potere prevaricatore, una volontà di sovranità su vite inermi e prive di diritti. Il contesto italiano è in parte diverso e non sarà inutile cercare di capire quanto i monumenti, che spesso neppure più vediamo passandoci accanto ogni giorno, siano stati portatori di valori che ancora oggi possono insegnare qualcosa, sfrondati da una retorica sorpassata: indipendenza dal governo straniero, orgoglio, celebrazione di uomini che hanno fatto grande la città. Uomini, appunto. In un momento in cui ancora molta strada è da fare per rivedere l’impostazione binaria e patriarcale che governa le nostre vite, è giusto e doveroso iniziare a ricordare pubblicamente le tante donne che hanno dato il loro contributo alla Storia, e qualcosa in questo senso si sta muovendo. 
Ma l’arte pubblica non è fatta di soli monumenti, di sole sculture (tra le quali vorrei ricordare le installazioni di artisti di fama internazionale che ogni anno vengono inaugurate nel parco di City Life, come parte del progetto ArtLine, iniziato nel 2015). Altri linguaggi, altre modalità ne fanno un campo di azione più che mai attuale. Il muralismo, anche noto come Street Art, è un modo virtuoso di rigenerare un contesto urbano, magari nei luoghi più distanti dal centro storico, e questa rivitalizzazione viene spesso condotta in dialogo con la comunità che quel luogo abita ogni giorno e da questa comunità quel luogo è adottato e curato come bene di tutti. Inoltre, proprio irraggiando dall’area di City Life, sede del progetto ArtLine, è allo studio la progettazione di nuove opere, che sempre più si allontanano dal centro cittadino e dall’idea di monumento per sposare una concezione antiretorica, leggera e sostenibile di arte urbana. Si intende che la messa in opera di questi progetti comporta costi, risorse, tempi di realizzazione lunghi e molte complessità. Una strada in salita? Forse, ma è anche vero che immaginare il futuro, pensare a una città diversa, non solo più bella ma anche più inclusiva e vivibile, è per l’Amministrazione Comunale un imperativo oggi più che mai sentito e non più rimandabile.