COSA NE SARÀ DELLE NOSTRE COSTE?

di Luca Molinari
Professore presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli"

Perché il fumo è giallo? Perché c’è il veleno. Ma allora, se un uccellino passa da lì, muore. Si, ma gli uccellini ormai lo sanno e non passano più». In un dialogo struggente tra Giuliana (Monica Vitti) e il piccolo Valerio si consuma il disagio esistenziale che i protagonisti vivono attraversando le coste industrializzate alle porte di Ravenna. La città antica (che fu una delle capitali dell’Im-pero romano) non compare, ma solo immagini di un paesaggio industriale anonimo e incombente, immerso tra le nebbie, un cielo giallo e la costa adriatica. Il film è Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni del 1964. La costa quasi non si vede, un filo consumato dalla foschia e dallo smog, appiattito su una monocromia pastello che più tardi ritroveremo nelle fotografie padane di Luigi Ghirri, come se tra cielo, terra e mare non ci fosse quasi differenza. Credo che esistano due modi perfetti per leggere l’evoluzione delle coste italiane in questi ultimi due secoli e che si legano indissolubilmente al nostro modo contemporaneo di guardare al mondo: il cinema e le cartoline. Entrambi strumenti popolari e diffusi, legati alla costruzione di un immaginario comune e condiviso. Credo che basterebbe affiancare le cartoline di una stessa vista ogni vent’anni – a partire dal primo Novecento fino a oggi – di Lignano Sabbiadoro, Milano Marittima, Rimini, Spiagge Bianche di Siracusa, Marina di Ginosa, Maratea, Positano, Pescopagano, Anzio, Marina di Grosseto, Forte dei Marmi, Bonassola, Celle Ligure, magari insieme alle vedute di Genova, Napoli, Palermo, Taranto, Bari, Pescara, Ancona, Trieste, per cogliere il cambiamento radicale e profondo delle nostre coste. A queste sovrapponiamo le carte IGM degli stessi periodi, per cogliere immediatamente il processo di irrimediabile urbanizzazione che il confine più sottile e delicato della nostra penisola ha vissuto sotto la pressione dell’avvento del turismo di massa e di una industrializzazione che ha cercato gli inevitabili accessi al mare per porti, raffinerie e grandi impianti siderurgici. La stessa geografia umana, artificiale e ambientale la troviamo perfettamente descritta nel nostro cinema attraverso le decine di cinepanettoni, i sapori di mare, i Fantozzi, la commedia all’italiana più sobria oppure ancora il cinema piccante degli anni Ottanta, i ritratti innamorati di Rossellini, Visconti e dei fratelli Taviani, le immagini dolenti di Pasolini e Antonioni, il Mediterraneo malinconico di Salvatores e Sorrentino, fino al cinema con-temporaneo che mescola realtà tragica, commedia e docufilm. Si potrebbe costruire una meravigliosa e sorprendente storia delle coste italiane mescolando queste esperienze visive, in un racconto della geografia fisica e antropologica di un popolo e della sua terra. Ma tutto questo fa parte delle premesse a un racconto che dobbiamo ancora interpretare, visto che la situazione sta rapidamente cambiando e chiede prospettive nuove e strumenti differenti.
Non ha più senso richiamarsi a un Mediterraneo bianco ed elegante che ha prodotto un’architettura di altissimo livello, così come non ha ugualmente valore guardare con stupore alla pletora di oggetti kitsch e grotteschi costruiti lungo le nostre coste. 

Nessuno di questi due immaginari ci offre salvezza né soluzioni durature, mentre sarebbe importante tornare a guardare alla geografia dal punto di vista dei dati ambientali e demografici. A meno di un sorprendente ravvedimento del genere umano, il riscaldamento globale porterà a fenomeni di innalzamento delle acque lungo le coste, che genereranno una progressiva erosione dello stato attuale con una rapidità anomala rispetto all’evoluzione che è propria di ogni ambiente.
Come tutelare, quindi, le nostre coste e tutti gli insediamenti residenziali e strategici costruiti nel Novecento?
Il quadro di cambiamento del clima avrà un’altra, importante conseguenza: l’innalzamento delle temperature medie continentali che aggrediranno sensibilmente il nostro Sud e innalzeranno la media al Nord del continente europeo. Che riflesso avrà tutto ciò sul turismo globale e sugli investimenti? 
Oltre a questo, secondo l’ISTAT l’Italia vivrà un calo demografico che dovrebbe portare la popolazione nazionale entro il 2050 a 38 milioni contro i 56 attuali, con una media di persone sopra i sessant’anni molto elevata. Che ne sarà allora di tutto quel patrimonio immenso e già oggi sottoutilizzato di seconde case? La popolazione, ormai molto più anziana, si trasferirà lungo le coste come in una nuova Florida in cui passare la terza età, abbandonando molte delle città medio-grandi all’interno del territorio? Oppure l’Italia diventerà un nuovo Algarve, in cui – grazie a un sistema di facilitazioni fiscali – si ritireranno tanti anziani d’Oltralpe? 
Altro, ma parallelo discorso, meritano gli insediamenti industriali posti lungo le coste, per cui sarà inevitabile un processo di bonifica dei terreni e de-carbonizzazione, perché siano riutilizzabili da altre realtà produttive in condizioni ambientali e sanitarie differenti.
Lascio per ultimo, ma non per importanza, il fatto che da vent’anni le nostre coste sono diventate l’approdo più naturale per le migliaia di disperati che fuggono dalle imponenti crisi ambientali e umanitarie dei paesi del Sud del mondo. 
Le nostre coste sono approdo, ma potrebbero essere occasione – con il sistema di tanti centri semi-abbandonati nell’entroterra – per un ripopolamento intelligentemente programmato e forme di nuova economia capaci di rinnovare un tessuto produttivo sfibrato dalla mancanza di giovani e prospettive. 
Le coste sono una membrana sottile ma necessaria perché tutto l’organismo possa vivere e prosperare, perché lo proteggono e insieme lo nutrono. Le sfide che abbiamo davanti sono epocali e chiedono strumenti e occhi nuovi. Sta solo a noi decidere che strada prendere: costruire muri e morire di asfissia o aprirci al mondo e guardare alle coste italiane come a un nuovo laboratorio di cambiamento e innovazione?