FESTIVAL, RITO E SPAZIO DI LIBERTÀ
di Claudia Mainardi
Architetto e co-fondatrice Fosbury Architecture*
Era l’inizio degli anni Settanta quando Ettore Sottsass teorizzava, sotto forma di testi e disegni per il periodico Casabella, la serie Il Pianeta come Festival: una visione dello spazio urbano e della società interamente incentrata sul concetto di libertà. Un pianeta fatto di luoghi e architetture prestate all’uso di una collettività emancipata da condizionamenti sociali e dalla necessità di lavorare.
Negli anni a seguire progresso e globalizzazione hanno portato in una direzione opposta, ponendo il successo lavorativo al primo posto a costo di ogni sacrificio; eppure oggi, o meglio, da una decina d’anni, a circa quaranta dalle premonizioni di Sottsass, la sua prospettiva sembra tornare attuale. Una prospettiva incarnata da quello che ormai può essere riconosciuto come “fenomeno dei festival”, o meglio, occasioni annuali della durata di qualche giorno in cui convergono migliaia di persone; occasioni che hanno come fine ultimo la celebrazione della musica perlopiù elettronica e il divertimento a essa relativo, ma che incarnano molto di più.
Si pensi infatti ad alcuni tra i più noti – Ortigia Sound System (OSS) e Terraforma in Italia, così come Horst in Belgio – e di come, nonostante le differenze in termini di organizzazione, località, distribuzione spaziale, attori coinvolti e curatela gene-rale, similmente si propongano come veri e propri incubatori culturali. Spazi in cui convergono professionisti provenienti da diversi settori disciplinari e in cui vengono veicolati messaggi di ampio spettro, prevalentemente legati a valori comunitari e valorizzazione del contesto territoriale. Se Terraforma, infatti, da otto edizioni ha intrapreso un percorso di riqualificazione del parco di Villa Arconati – sia intervenendo sulle aree verdi in cui si inserisce (al punto da aver restaurato il Labirinto settecentesco di Marcantonio Dal Re) che provvedendo all'infrastruttura necessaria (dai palchi per i dj al camping), con la costruzione di architetture temporanee a basso impatto ambientale – OSS (anch’esso alla nona edizione), in quanto unico del genere nel Sud Italia, si fa portavoce della cultura mediterranea, coinvolgendo più località del Siracusano, non solo facendo leva sui beat elettronici, ma provvedendo all’organizzazione di interventi artistici, workshop e discussioni che vedono la partecipazione di filosofi, giornalisti, critici, architetti e molto altro. Anno dopo anno la comunità cresce, così come le attività e il dibattito intorno a esse. Tra i vari argomenti di discussione, soprattutto nel caso di OSS, emerge la volontà di cercare di com-prendere cosa renda un festival necessario oggi, cosa spinga innumerevoli persone da tutta Italia e dall’estero – perfino dagli Stati Uniti – a raggiungere Ortigia, affrontando anche condizioni ambientali difficili (si pensi all'incendio dell'aeroporto nel luglio 2023 e relative complicanze a solo una settimana dall'apertura dell'evento). Cosa c'è di irrefrenabile per così tante persone all'idea di recarsi in luoghi lontani, seppur incantevoli, a ballare
per giorni e notti ed esser disposti a tutto pur di non rinunciarvi? La comunità è peraltro pressoché la medesima, che si muove peregrinando da Milano a giugno (Terraforma), all’Emilia Romagna (Lost festival), alla Sicilia (OSS) a fine luglio, per poi ritornare al Nord con il Club to Club in autunno. Giovani ma non troppo, creativi ma non solo – cresciuti offuscati dal progresso degli anni a cavallo del millennio che li ha illusi che lavoro, profitto e ricchezza fossero le mete da perseguire a discapito di qualsiasi conseguenza – tutto a un tratto, scossi da una serie di crisi planetarie, rendendosi conto che è rima-sto ben poco in cui credere, trovano sfogo e conforto in questi momenti. Si sentono vicini gli uni agli altri, si riconoscono, si sentono parte di qualcosa. Occasioni che durano sempre pochi giorni – momenti di evasione, dunque, ma controllati. Il festival diventa un rito, un momento da salvaguardare, una tappa fissa necessaria a dimenticare l’anno di fatica appena passato. I dj provenienti da tutto il mondo, ricercati ma appetibili ai più, sono solo una delle offerte. Certamente la musica rappresenta l’elemento di connessione, il punto da cui i fondatori sono partiti, eppure appare limitante definirli solo “festival di elettronica”. Più simili a piattaforme in cui celebrare aspetti per molto tempo soffocati – o meglio spazi di libertà, gioia e svago – definiscono epicentri in cui attori e saperi diversi si fondono e informano l’un l’altro. E quale terreno più florido per l’architettura, intesa come pratica spaziale in grado di mediare tra diverse istanze? Non a caso questi festival si stanno adoperando sempre di più per coinvolgere figure esperte in specifici saperi: da coloro in grado di progettare stage dotati di una certa potenza visuale – talvolta diventando icone di una specifica edizione – a consulenti per strategie territoriali di più ampia scala. In un certo senso, dunque, al di là di una cultura più generale incorporata dal festival come fenomeno, ne esiste – o ne sta nascendo – una più specifica di settore. Una che vede un numero crescente di professionisti chiamati a pensare alla trasformazione di territori, tramite azioni minute, puntuali, ed etiche. E se per anni ci fossimo sbagliati e il futuro stesse proprio nella riscoperta di un vivere semplice, in diretto contatto con la natura? Forse avremmo dovuto dare subito ascolto a Sottsass negli anni che furono.
* Il collettivo ha curato il Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia 2023