UNA DETERMINATA SITUAZIONE

di Matilde Cassani
Architetto

Nella stanza numero 13 dell’Hotel Carcassone, Rue Mouffetard 24, al quarto piano Daniel Spoerri nel 1961 decise di osservare tutti gli oggetti che, in quella determinata situazione, si trovavano sul suo tavolo di lavoro. Ha voluto capire cosa svelasse e cosa generasse in lui l’atto di descrivere: «come Sherlock Holmes, capace di risolvere un crimine partendo da un oggetto, o come gli storici che da secoli ricostruiscono un’epoca intera a partire dalla più nota cristallizzazione della storia, Pompei»(1). 
Ricreare gli oggetti attraverso il ricordo, anziché mostrarli come forme, è la sintesi del libro Topografia aneddotica del caso. Topographie anécdotée* du Hazard, titolo originale, è un testo composto quasi interamente da lunghe note numerate, riconducibili, solo alla fine del libro, ad una pianta disegnata a mano libera del tavolo e degli oggetti presenti su di esso.  
È un’astrazione, come ogni mappa, ma è speciale perché non restituisce solo lo spazio del tavolo, ma tutto il sistema relazionale legato ad esso: ferma nel tempo le connessioni, instaura relazioni tra soggetti e oggetti e storicizza il presente come in un diario. 
Ogni oggetto, descritto nella sua funzione e nelle sue caratteristiche estetiche, diventa anche uno strumento di narrazione di un territorio decisamente più ampio: quello della sua vita, del rapporto con gli amici artisti, delle relazioni sentimentali, delle persone che ha visto solo una volta, dei viaggi fatti, di quelli non fatti, dei regali, del futuro, del suo lavoro e di altro ancora. Traccia i confini fisici e politici della sua esistenza.
Il gesto di mappare permette a Spoerri di fare un punto sulla sua vita fino a quel momento: sostituisce quindi una sua biografia. Leggendo tra le note, troviamo digressioni sulle sue opere, sul futuro della sua professione e nuove idee. La mappa contiene quindi innumerevoli altre mappe.
Anche se non siamo più in lockdown, la scrivania di casa sembra essere il luogo dove spendiamo la maggior parte del nostro tempo. Mai come nel periodo recente, le dimensioni delle nostre relazioni sono state delimitate. La mappa delle nostre città è stata sostituita dalla mappa della nostra scrivania, dove abbiamo appoggiato, in ordine sparso, una serie di oggetti, non esclusivamente legati al lavoro. 
I confini del nostro mondo fisico sono diventati quelli del nostro quartiere. Le distanze erano solo micro, quelle tra gli oggetti, e macro, quelle delle relazioni basate sulla distanza colmata dalla rete. A media distanza, per un lungo tempo, non c’è stato nulla. In quel momento di cambiamento mi sono trovata a fare un workshop, con didattica a distanza, allo IED di Roma, dove ho chiesto agli studenti di fare un video della loro scrivania, descrivendo tutti gli oggetti che si trovavano sul loro tavolo di lavoro. Alla maniera di Spoerri, i video finali cercavano di colmare la distanza che esisteva tra gli oggetti presenti sulla scrivania e la loro origine. 

Catturava i paesaggi presenti sui tavoli di lavoro e contemporaneamente ne raccontava la storia di quel momento, con tutto il disorientamento derivante dall’incertezza sul futuro.
In tempi recenti, la rubrica sul sito Doppiozero, chiamata TAVOLI(2), aveva abbinato le immagini dei tavoli di lavoro dei maggiori intellettuali, scrittori, artisti, filosofi e designer alle fotografie di Giovanna Silva. Le fotografie, commentate da saggisti e scrittori, venivano descritte in prospettiva, svelando inedite connessioni.
Stefano Salis, tra gli autori della rubrica, non aveva mai saputo che Italo Lupi fosse mancino, ma osservandone la scrivania aveva colto che tutti gli attrezzi del mestiere di grafico, fossero tutti alla sinistra del computer(3).
Allo stesso modo, Valentina Colombo osservando la scrivania dell’illustratore Emiliano Ponzi diceva di vedere tutto perfettamente allineato, ma che alcuni elementi appoggiati con più libertà e poesia lasciavano intravedere, come nelle sue illustrazioni, che «c’è sempre altro»(4).
Infine, Gianfranco Marrone, scrivendo della scrivania di Umberto Eco, citava almeno due modi di viverla. Il primo è quello di usarla, come per un falegname o un sarto, come luogo di lavoro. Al momento della scrittura, si appoggiano su di essa le cose che servono per scrivere: la penna o il computer, ma anche tutti i documenti che si stanno leggendo mentre si sta redigendo il proprio testo(5).
Il secondo invece è quello di utilizzarla proprio come una mappa, che contiene, in ordine parzialmente controllato e non del tutto sintetico, il recente passato.
È la scrivania stessa quindi la mappa, che avvicina il visitatore esterno alla figura di uno storico, che osservando scrivanie a campione potrebbe ricostruire a ritroso gli aspetti nascosti della vita di ognuno, in questo preciso momento storico, ricostruendola a partire dalla “cristallizzazione della storia” data dal recente lockdown.

(1)Daniel Spoerri, Topografia aneddotata del caso, traduzione di Vincenzo Latronico, Archive Books, Berlino, Torino. Pag. 1.
(2) https://www.doppiozero.com/speciale/tavoli
(3) https://www.doppiozero.com/materiali/speciali/tavoli-italo-lupi
(4) https://www.doppiozero.com/materiali/speciali/tavoli-emiliano-ponzi
(5) https://www.doppiozero.com/materiali/speciali/tavoli-umberto-eco